L’Amore di Specie è quel che ci vuole per superare l’individualismo. Siamo animali sociali e siamo esseri appartenenti alla stessa specie. Una constatazione che sembrerebbe banale, ma la cui profondità e verità scientifica possono fungere da trampolino di lancio per un necessario salto di coscienza collettiva, volto a superare le logiche competitive dell’attuale contesto socio-culturale. Questo è il concetto fondante e di prioritaria importanza espresso nell’introduzione del nostro saggio “Umanamente insostenibile. Il capitalismo nuoce gravemente ai Sapiens”.
Indice
Introduzione
Alla base del nostro saggio c’è questa bellissima intuizione di Luigi D’Elia: siamo una specie sola e questa è una verità scientifica. Da qui l’idea di impostare l’intero libro in chiave trans-discliplinare, per poter cogliere le delicate e complesse relazioni del reale, ma a partire dal vertice di osservazione primario della biologia evoluzionistica.
Cos’è l’Amore di Specie
L’Amore di Specie riguarda un’evoluzione della coscienza umana, che permette di superare l’individualismo e di riconoscere l’interconnessione profonda tra esseri umani e ambiente.
Non c’è dubbio che lo sviluppo di un autentico e profondo amore di specie, inteso qui come salto di coscienza da individuo a soggetto collettivo, come sentimento compassionevole ed empatico verso questa nostra meravigliosamente imperfetta specie, va di pari passo col sentimento compassionevole verso il vivente in quanto tale e per estensione verso ciò che contiene il vivente, l’intero ecosistema e l’intero cosmo.
(D’Elia e Nicolaus, 2025)
Il fondamento scientifico dell’Amore di Specie

L’Amore di Specie trova un solido fondamento scientifico nella scarsa variabilità genetica di Homo sapiens, una prova tangibile della nostra stretta parentela biologica e delle antiche crisi evolutive che la nostra specie ha affrontato. Questa evidenza dovrebbe tradursi in una consapevolezza collettiva capace di guidare l’umanità verso un nuovo salto di coscienza: comprendere che il nostro destino è interconnesso e che la sopravvivenza della specie dipende dalla capacità di riconoscerci come un’unica comunità. Non si tratta solo di un ideale etico o filosofico, ma di una necessità evolutiva documentata dalla genetica e dalla paleoantropologia: o ci salviamo tutti insieme, o affondiamo insieme.
Siamo convinti, di converso, che uno dei principali fattori che ostacola il salto di coscienza che occorrerebbe in questa fase storica all’umanità per correggere l’evidente tendenza all’autoestinzione consista esattamente nell’assenza di percezione, di appartenenza, di amore di specie. Nella mancanza cioè di percezione e consapevolezza diffusa di trovarci sulla stessa barca tutti insieme, senza distinzioni di potere, intelligenza, prestigio o ricchezza, accomunati da una stretta parentela testimoniata da una scarsa variabilità genetica, prova certa di precedenti pericoli di estinzione (i noti colli di bottiglia) causati da improvvisi cali demografici, superati, chissà come, nel lontano passato paleolitico.
Risonanze e convergenze con Morin e Ceruti
Quasi parallelamente, pensatori di fama internazionale come Edgar Morin e Mauro Ceruti teorizzano e auspicano l’avvento di un Umanesimo Planetario. In “Umanizzare la modernità. Un modo nuovo di pensare il futuro” Ceruti descrive così tale visione:
L’umanesimo planetario è, infatti, proprio il movimento culturale che porta a rappresentarsi e a riconoscersi nella condizione di membri della comunità di destino che lega oramai tutti gli individui e tutti i popoli del pianeta, nonché l’umanità intera all’ecosistema globale e alla Terra. E raccogliere la sfida del destino significa raccogliere la sfida della complessità.
Superare il pensiero dualistico che ci vede come separati, che ingannevolmente ci vede come entità separate, è dunque il file rouge che unisce il concetto di Umanesimo Planetario con quello dell’Amore di Specie.
L’individualismo si fonda su una concezione obsoleta e irrealistica
Le crisi ambientale, climatica e sociale sono il risultato di un progresso fuori controllo, che produce danni e sofferenza tanto quanto, se non più, delle sue conquiste. Una parte del mondo politico continua ad affidarsi ciecamente alla tecno-scienza, modellata su una concezione individualista del libero mercato, nella convinzione di poter trovare soluzioni ai problemi che essa stessa ha generato. Tuttavia, è sempre più urgente un cambio di paradigma: il progresso non può essere guidato esclusivamente da una tecnologia asservita a interessi finanziari e individualistici, ma deve fondarsi su un’epistemologia della complessità, che riconosca l’importanza di tutelare e rispettare le interconnessioni eco-biologiche che regolano il nostro pianeta.
Conclusione
Superare l’individualismo significa prendere atto che l’idea di indipendenza e separatezza, radicata nel dualismo filosofico su cui si fonda la nostra cultura, è un’illusione che non rispecchia la complessità del reale. L’Amore di Specie riassume questa nuova consapevolezza.

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